Lo studio di Stalin e il quadro con Villa Falconieri


Là seduto su una sedia, di lato ad un camino spento, Stalin, giacca d’ordinanza e gambe incrociate, legge carte, riflette. Si alza e comincia a passeggiare. Chiama a gran voce i suoi collaboratori. Mentre aspetta, contrariato, che arrivi qualcuno, si ferma e fissa un quadro. Lo guarda ma non lo vede. Del resto in quello studio ci sono ben altri quadri da studiare, quelli del nuovo assetto politico tedesco dopo la fine della II guerra mondiale. Poi si siede nuovamente al tavolo da lavoro. Una scrivania di mogano scuro. Guarda il camino spento. Un nuovo sguardo fugace al quadro. E’ piena estate, anche in Germania fa caldo. Il clima è rovente. Nei 4 mesi precedenti c’era stato l’epilogo: Hitler si era suicidato, la Germania aveva dichiarato la resa, il presidente americano Roosvelt era morto ad aprile, e l’Inghilterra si apprestava a nuove elezioni in cui Churchill vincitore della guerra sarà sconfitto in patria. In conflitto rimaneva solo il Giappone.
W. Churchill, H. Tuman, J. Stalin a Potsdam 
L’atmosfera era tesa e grave, come sempre nelle decisioni importanti. Nelle altre sale della residenza estiva stile inglese degli ultimi Hohenzollern, Cecilienhof, il primo ministro inglese Winston Churchill e il neo presidente americano Harry Truman stavano anche loro elaborando i loro termini per sancire la pace e delineare i destini della Germania.
Il tavolo della conferenza di Potsdam

 
 Tutti sotto lo stesso tetto ma rigorosamente separati, alternavano riunioni tecniche a incontri. La Seconda guerra mondiale poteva dirsi finita in quelle giornate tra il 17 luglio e il 2 agosto 1945. A Potsdam, pochi chilometri fuori Berlino, in una campagna rigogliosa sulle sponde del lago: Usa, Urss e Inghilterra si trovavano per la prima grande conferenza internazionale. Nell’ultima dimora estiva degli Hohenzollern, i rappresentanti delle grandi potenze vittoriose, erano accompagnati dai rispettivi ministri degli Esteri e dagli staff militari. L'ampio edificio asimmetrico, lontano dalla città, permetteva ai concitati staff dei tre capi di Stato di avere spazi di privacy e autonomia. 
Cecilia Hohenzollern



Iosif Stalin era stato sistemato nello studio di Cecilia, moglie di Guglielmo, donna di vasta cultura, poliglotta, principessa di un impero che non c’era più. Amante delle lettere e dell’arte, Cecilia aveva posto  nella sala una grande libreria e un camino.
Arredi che erano rimasti a ricordarla anche ora che quella sala accoglieva l’ospite russo. Funzionalità e sobrietà erano richieste per l’occorrenza. Tutti gli studi avevano un salottino e una scrivania. Anche quello di Stalin, non aveva altri arredi importanti oltre un bow window con vista sul giardino. Là fuori 16 anni dopo sarebbe stato eretto un nuovo muro che avrebbe diviso le due Germanie, che in quel momento Stalin pensava unite. Le pareti tappezzate di velluto rosso incupivano l’intero ambiente: la scrivania lineare troneggiava, in un angolo ben illuminato della sala.
Lo studio di Stalin
A fianco il camino, e sopra un unico quadro. Un quadro come tanti. Rappresentava una villa italiana del tardo rinascimento con un giardino. Un quadro né appariscente né di un artista di gran fama. Proprio ciò che ci voleva per arredare uno studio importante come quello in cui si stava scrivendo la storia del Mondo, di un mondo che doveva contare i danni incommensurabili di un conflitto cruento e su cui già aleggiavano nuovi fantasmi. Nel suo studio con una scrivania, un salotto e un camino di ceramiche azzurre di fattura olandese, Stalin alternava momenti di riflessioni a quelli di scambio con il suo staff. Apparentemente sorridente, spesso indifferente - come racconta Truman - anche all’ipotesi poi realizzata di bombardare Hiroshima.
Il camino e il quadro Villa Falconieri
Così misurato chissà se si sarà accorto di quel quadro nello studio. Di quel giardino luminoso tanto amato dalla colonia tedesca a Roma prima della Guerra. Di quella villa che fu del governo tedesco dalla fine dell’Ottocento, dove erano passati scrittori e pittori famosi come Paul Heyse, Richard Voss e  Arnold Böcklin. Chissà se si sarà chiesto dove fosse quell’immenso piazzale dipinto, in cui giovani donne e bambini passeggiano e giocano, dove in lontananza un via vai di personaggi con tuniche bianche, somiglianti a fantasmi, testimoniavano le speranze della Bella Époque ormai spente da decenni. Poi la conferenza si sciolse, Hiroshima bombardata. Il castello nei decenni è diventato un museo ed è stato per questo che Nadia Martino insieme ad Agnese Nobiloni, in un viaggio del Circolo Femminile d’Amicizia Europea di Frascati, notarono il quadro. La storia era troppo intrigante perché cadesse nell’oblio e allora dopo aver contattato Harald Berndt, conservatore del castello di Cecilienhof, con Agnese, germanista appassionata, siamo partite alla volta di Potsdam con macchina fotografica in tasca e tanta curiosità di capire di più di questo quadro che ha,suo malgrado ha visto trascorrere davanti a se una parte della storia dell’ultimo secolo. Il conservatore della "Fondazione Castelli e Giardini Prussiani" ci ha permesso di fotografarlo spigandoci che il dipinto, del 1911, è di Albert Hertel, uno dei borsisti che hanno dimorato a Villa Falconieri quando era di proprietà di Guglielmo II, su donazione del Barone Ernst Mendelssohn Bartholdy.
Villa Falconieri, Albert Hertel, olio su tela, 1911 
 

Commenti

Post popolari in questo blog

CHI L'HA VISTO? LA FONTANA DI VERTUMNO A VILLA FALCONIERI

DALLA REGINA DI SARDEGNA AL CUSTODE DI TUSCOLO,LA STORIA DELLA CASINA FIRMATA VOSS

Le opere di Paul Ching Bor ispirate alle ville e alla storia di Frascati. Un omaggio a San Giuseppe Calasanzio