La Frascatana e le altre - Le mozzatore e la vendemmia
La Frascatana e le altre
donne dei Castelli romani furono soggetti molto ritratti da artisti italiani e
stranieri nell’Ottocento. Le vendemmiatrici non potevano mancare nei loro
repertori, stampe e quadri di genere le ritraggono con abiti da festa e da
lavoro. In testa enormi cesti d’uva e un marmocchio per mano. Bartolomeo Pinelli a loro dedicherà numerose stampe in Raccolta di cinquanta costumi pittoreschi .
Lavoro duro tutto
l’anno, l’apporto femminile era fondamentale nelle campagne. Erano “necessarie”
come scriveva nel 1827 Clemente Micara (1):. “Dan mano nella sementa e nella vendemmia: e nel raccorre frutta, erba,
legumi, foglia frumento…”. Addentriamoci in mezzo a una vigna dell’Ottocento in
compagnia di William Wetemore Story (1819-1895). Facendo molta attenzione perché come ricorda Luigi
Zanazzo (2) “In tempo di vendembia in de
le vigne de Roma e puro in quelle de li Castelli nostrali, oltre a fasse un
sacco de risate e d'allegrie, saùsa de fa' un scherzo a li conoscenti o a li
forestieri che ve viengheno a trova alla vigna, ner tramente che state sotto la
vite a taja co'le forbice li grappi d'uva. Ecco 'sto scherzo in che consiste.
La vendembiatora o mozzatora pija un grappo d'uva o un paro, e li sfragne su la
faccia della persona che l'è ita a trova, come si sfragnesse l'uva dentro ar
tino. 'Sto scherzo se chiama ammostà o dà un'ammostata” Schivate le mozzatore, termine che risale almeno al
Seicento con cui si identificano le donne che raccolgono l’uva (3) ecco come la
vedevano i turisti colti di allora.
Bartolomeo Pinelli, La vendemmia |
La scena è vista non solo con gli occhi
distaccati di un turista straniero, ma anche con il punto di vista di un
artista: scultore per volontà migliore come narratore, come Henry James ebbe a
dire di Story ordinando le sue carte (4). “La stagione è arrivata – gli acini
violacei dell’uva sono turgidi di vino- hanno assorbito il sole della lunga
estate – e pendono in grappoli trasparenti sulle viti color ruggine – i loro
semi sono immersi nel ricco succo ed è ora della raccolta. La stagione della
vendemmia è una stagione di grande allegria e licenziosità - annota Story – quasi
una satunalia, durante la quale
ognuno dice ciò che desidera- e durante la quale ci si può permette qualsiasi
cosa senza per questo offender nessuno.
Bartolomeo Pinelli |
“Alla vendemmia, allora – e “viva la
vendemmia!” Dunque entriamo nel vigneto
e guardiamo con gli occhi di un arista che vive la sua favola romana:
“Vi è una grande quantità di
contadini che raccolgono l’uva, ridendo e scherzando, per poi depositarla in
capaci ceste, fino a quando i grappoli violacei fuoriescono dai bordi
impregnati di succo. Alcuni sono arrampicati su delle scale per raggiungere i
grappoli posti più in alto, mentre altri stanno ai piedi per prendere quelli
che stanno più in basso. Quando i pesanti e succulenti contenitori sono pieni,
vengono trasportati in testa ai filari fino ad un grande carro, nel quale vengono
rovesciati. Perfino i buoi sembrano essere felici mentre, decorati con
fiocchi, aspettano tra i filari e nell’attesa di condurre a casa il solare
carico di grappoli. I cani abbaiano, le ragazze ridendo sfuggono agli abbracci
dei loro innamorati, che le minacciano coi loro baci. Sono ragazze risolute,
capaci di difendersi; né vorrei trovarmi nei panni dei loro innamorati quando
si prendono un ceffone sulla mano, sulla guancia o sulla schiena, benchè essi
sembrano accettare questo rimprovero di buon cuore e, con una sana risata, sono
pronti a ritentare alla prima occasione. Una volta che l’uva è stata tutta
raccolta, viene messa in grandi tini di pietra e i contadini, adorni di corone
di foglie di vite e con le gambe nude fino alla coscia, vi saltano dentro e,
tra uno scherzo e una canzone, pigiano l’uva il cui ricco succo passa poi in un
barile sottostante. Mentre i contadini calpestano i grappoli, altre ceste piene
vengono di continuo svuotate nei tini, mettendo a dura prova le loro forze. Il
succo li spruzza e li macchia di cremisi –il sudore cola dalle loro
fronti- ansimano di eccitazione, e se
scostano dal volto una ciocca di
capelli, questa si tinge di viola. Quando uno si stanca del duro lavoro, un
altro lo sostituisce immediatamente, e così la danza continua fino a quando
tutto il succo è stato spremuto. Le bucce poi vengono passate attraverso un
torchio di legno e bagnate con acqua ogni volta che si asciugano, ottenendo
così un vino di qualità inferiore. Queste bucce insieme ai raspi, vengono poi
bruciate e ridotte in polvere di carbone che viene utilizzata per fare
inchiostro nerissimo ed indelebile.
Bartolomeo Pinelli |
Nella realtà del quotidiano le donne di umili origini, cenciose, spesso
venivano da fuori città per lavorare stagionalmente con tutta la famiglia.
Frascatane o straniere che fossero la loro era una levataccia quella per andare
nei vigneti, una pesante fatica quella di raccogliere l’uva dalle viti, chine
spesso tra i filari , il mal di schiena e
quelli articolari erano la normalità, umide dalla guazza, bruciate dal
sole, sudate. Un lavoro pesante come lo ricorda Agnese Maccari (5):
“Era
ancora scuru, quanno pe’ ’e vie de Frascati se senteva ’u zampettìu de’ ’e
femmine che escìvenu da ’e case pe’ i’ a velignà.
Sotto’e finestre
se divenu ’u richiamu una co’ l’altra: ’n fischiu, ’n soprannome, ’na
stornellata.
’U riddunu era a
Piazza Spinetta. Llà ’a ‘caporala’ commanneva: vui jate a Colle Pisanu, vujatre
a Passu Lombardu. Tu e tu a ’e Cisternole e vui dua a Spinoreticu. Posti
diversi, ma ’e strade erino tutt’uguali: fossi, seminati de sassi, spini e
cardellozzi; e, a ’nfroscià ce jvenu tutte, co’llu sonnu che s’aritrovìvenu…
Quand’una più ffortunata, s’attacchea a ’a coda o a l’immastu d’u somaru che
porteva ’nzieme a ’u patrone ’a cupella dell’acquata e ’a colazzione.
Mani
a mani che s’arzeva ’u sole, se svejivenu e ’ncomincivenu a riccontasse ’e
barzellette, i fatterelli séi e ppuru quilli dell’atri.
Quannu
s’erenu riscaldate bene bene, se sentìvenu certi stornelli a bracciu, a botta e
risposta, e certi cori da fa invidia a quilli de San Pietro. Ridenno e
scherzenno ammazzìvenu ’a fatica, ’e pene e l’affanni.
Amezza
mattinata’a ‘caporala’ deva ’u segnale p’a colazzione: ’gnuna sboticchieva ’u
fagottellu séu: ’ncantoncellu’e pa’ co’n pummidor’acconnìtu co’ ’na crja d’oju
e ’n pizzicu de sale, oppuramente du’ pacche ’e pà’ co’ mezzu ’a cicoria
ripassata ’n padella o ’na frittata de patate e cipolle. Tra ’n boccone e
l’atru se facivenu ’na bevuta d’acquatu, e ’a fine, sgranocchivenu, ’n
rampazzittu d’uva.
Doppu
magnatu, ricomincìvenu a tajà: su e ggiù p’i filari, co’ e forbici e co’ i
sicchi, finente ch’a giornata ’nfinisceva. A rivenì risparagnìvenu ’u fiatu pe’
camminà: nun canteva più gnisuna”.
Nell’ottocento al posto dei secchi c’erano i cesti ma la loro vivacità
rimaneva la stessa. Durante
la raccolta, canti e stornelli echeggiavano nella campagna: versi tradizionali,
ma anche di nuove rime affidate ai poeti a braccio. Stornelli a botta e
risposta rimbalzavano da un filare all'altro ma anche da un vigna all'altra. Augusto Sindaci, nel
1902 gli dedica una poesia (6)
Vendemmieno le donne alegramente
tra li pampeni, su pe li castelli,
e gni rigazzo che a canta le sente,
de cadenza arisponne ritornelli.
E le trecce adorate che c'à in mente
vede ariluce allora in mezzo a quelli
grappoli fatti, com'oro lucente,
o neri, come lei c'à li capelli!...
Rigazzi, è autunno bello che innamorai
La vite more a l'ormo abbraccicata !
Cantate, fiji, alegramente...; è l'ora!
Perché tornanno Aprile è già rinata!
Fiji, cantate e che l' istate mora
biastimanno pe l'aria imburianata!
“…e nei trilli
rapidi e argentini del mandolino rivede in fantasia le mozzatore che tornano
danzando dalla vendemmia con le chiome nere ornate di pampini, i salterelli
ballati sotto le pergole e fra i roseti nei giardini del Monte Testaccio, e i
cocchi infiorati e veloci, pieni di minenti e di fanciulle che sonando
gnacchere e tamburelli gittano alla luce infocata dei tramonti d'ottobre gli
appassionati stornelli d'amore. Quando il passagallo finisce e gli ultimi
arpeggi delle chitarre si dileguano nell'aria, oramai tutta annebbiata dal fumo
delle pipe, le stanze dell'osteria si vuotano a poco a poco, e appena gli
ultimi ne sono usciti, sorreggendosi alle sedie, vi entrano varie donne coi
capelli crespi e negletti, le quali, mentre il sor Pacifico si mette a segnare
col gesso qualche numero sur una piccola lavagna, aprono le finestre;
raccolgono le salviette biancheggianti qua e là sotto le tavole; rialzano le
sedie rovesciate; gittano in terra insieme ai bicchieri rotti, i rimasugli
delle vivande che imbrattano le tovaglie; sparecchiano e di tanto in tanto si
avvicinano alla porta e rimangono a guardare ridendo li pittori che adunati
accanto a una fontana vivamente colorata dai bengala, gridano: — Al
Colosseo!... Al Colosseo!...
Al Colosseo? La
via è lunga! — osserva qualcuno.
Finita
la vendemmia nei vigneti e nelle piazze si faceva festa, ma questa è un’altra
storia. Un' altra puntata
(1)
Clemente Micara, Della campagna romana e del suo ristoramento,
1827
(2)
Gigi Zanazzo, Tradizioni popolari romane, 1907
(3)
Giovanni Camillo Peresio, Il
maggio romanesco overo il palio conquistato 1688
(4) William Wetemore Story, Robe di Roma,1873
(5)
Luigi Devoti, Il costume popolare dei Castelli Romani
(6) Augusto Sindici, XIV Leggende della Campagna Romana, 1902, Treves
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