Artisti, scenziati e intellettuali per combattere la Malaria nell'Agro Romano. Una mostra all'Esposizione universale del 1911 dopo le leggi Angelo Celli sul Chinino di stato


Pierina Levi, Carro di Fieno
La Campagna romana, l’agro, cento anni fa era un luogo infetto e rischioso, la malaria imperversava. Ancora nel 1944 vi fu una recrudescenza di una malattia che ancora oggi fa paura quando si va in alcuni paesi africani o del Sud America. Meno di 100 anni fa era alle nostre porte. A pochi chilometri dai Castelli Romani che per la loro aria salubre erano considerati indenni dall’ infezione e anche per questo scelti come luogo di villeggiatura per la nobiltà romana dei secoli passati,  che d’estate salivano ai colli per scampare la Mal’aria estiva della città. La prima legge antimalarica dello stato unitario porta la data del 1878 e dispone proprio sul caso dell’Agro Romano: essa stabiliva il prosciugamento di stagni e acquitrinii.
Capanna dell'Agro Romano
Sempre sull’Agro Romano si legiferava nel 1883 deliberando la necessità di una bonifica delle terre e impegnando i proprietari alla trasformazione agraria dei terreni, pena l’esproprio per pubblica utilità. Alle soglie del XX secolo la “Questione sociale delle masse contadine del Paese, costrette a terribili condizioni di vita, fu all’origine della promozione della distribuzione di Stato del chinino, riconosciuto come valido strumento di profilassi e di cura. A sostenere tale necessità Angelo Celli (1857-1914) che nel 1898 insieme a Giustino Fortunato e Leopoldo Franchetti riporta la questione in Parlamento, dopo due precedenti proposte di disegni legge del 1895 passati sotto silenzio. Nel 1900 veniva così approvata la legge n. 505 con la quale si autorizzava il Ministero delle Finanze a comprare la materia prima necessaria alla preparazione del chinino e a una sua rivendita pubblica attraverso farmacie. L’iter d’applicazione fu difficile soprattutto perché le prime resistenze furono opposte proprio dai farmacisti, minacciati nei loro interessi dalla mano statale che calmierava i prezzi dei preparati e dalla concorrenza delle privative. La legge tentava di ovviare a questo ostacolo disponendo che lo smercio dei preparati complessi a base di chinino fosse affidato alle farmacie e che i monopoli autorizzati alla vendita fossero sufficientemente lontani dalla farmacie.
Scuola dell'Agro Romano
Gli utili della vendite del chinino sarebbero stati poi devoluti dal Ministero delle Finanze a un fondo per la lotta alla malaria. L’approvazione delle leggi sul ‘chinino di Stato’ proposte da Celli, consentì una maggiore e migliore applicazione delle misure di cura e profilassi contro la malaria, ma le difficoltà create dalla ignoranza e dalla arretratezza della popolazione agricola resero necessario anche un impegno immediato per combatterle, attraverso l’istituzione di corsi di alfabetizzazione presso le località di campagna dove non esisteva la scuola comunale. Il fenomeno dell’analfabetismo, diffuso soprattutto tra i contadini, raggiungeva punte drammatiche nelle zone più depresse del Paese, come il Mezzogiorno, le Isole e la Campagna Romana. L’obbligatorietà e la gratuità della scuola primaria, stabilite dalle prime leggi unitarie non avevano risolto il problema, e l’impossibilità o l’incapacità da parte delle Amministrazioni locali di applicare e fare rispettare i provvedimenti legislativi, la mancanza di mezzi economici, di scuole e di insegnanti, contribuivano a peggiorare la situazione. Per quanto riguarda l’Agro Romano, nel primo decennio del secolo le scuole comunali, nonostante le disposizioni contenute nella legge, erano ancora pochissime, quasi sempre limitate al corso inferiore e in condizioni tali da non incoraggiare nessuno a frequentarle: i locali presi in affitto risultavano inadatti e antiigienici, gli arredamenti antiquati e in cattivo stato, il materiale didattico scadente e insufficiente; l’insegnamento veniva spesso impartito da parroci locali, il più delle volte non diplomati, assistiti da ‘coadiutrici’, anch’esse non abilitate. Data la situazione e considerato che l’obbligo scolastico non veniva rispettato dalla popolazione agricola, a causa dei lunghi orari di lavoro, cui erano sottoposti anche i minori, delle grandi distanze da percorrere, della impraticabilità delle strade, dei rigori dell’inverno e, soprattutto, delle febbri malariche, Anna Celli, con l’appoggio della Sezione romana dell’Unione Femminile Nazionale, cui faceva parte anche Sibilla Aleramo, nel 1904 avviò a Lunghezza, una tenuta sulla via Prenestina, il primo corso scolastico festivo per i guitti; l’iniziativa ebbe successo, e dall’anno seguente i corsi si tennero anche in altre località dell’agro: alla Marcigliana, sulla via Salaria e a Pantano, sulla via Casilina.
Manifesto della mostra
Annie NAthan, il monte Soratte
Fu a quel punto che il Poeta Giovanni Cena, redattore capo della rivista “Nuova Antologia”, invitato da Sibilla Aleramo, alla quale era legato da vincoli affettivi e intellettuali a visitare l’agro, “scoprì” i villaggi di capanne e conobbe le tristi condizioni di vita dei suoi abitanti; la drammatica realtà sino ad allora ignorata lo spinse ad aderire pienamente alla iniziativa scolastica avviata dall’Unione Femminile, e a dare vita ad una più ampia azione educativa, sociale e umanitari. Nonostante le difficoltà logistiche ed economiche, il boicottaggio esercitato dalla chiesa e l’ostruzionismo messo in atto dai proprietari terrieri e dagli affittuari, le scuole aumentarono rapidamente, rendendo necessario dare ai corsi scolastici festivi e serali un ordinamento e una struttura più razionali, fissare orari e calendari, e stabilire un programma didattico che si adattasse meglio a quella particolare scolaresca. A tale scopo, a partire dal 1907 fu costituito il Comitato delle Scuole per i Contadini, composto oltre che dai coniugi Celli, da Cena e dalla Aleramo, anche dal letterato Carlo Segrè, da un amministratore, e dall’educatore Alessandro Marcucci, ch divenne il Direttore delle Scuole; ad essi dopo poco si unì Duilio Cambellotti, che con il suo talento artistico contribuì ad arricchire i valori educativi delle scuole. Nel 1911, al fine di reperire fondi per il mantenimento e l’incremento delle scuole che sostituivano efficacemente il servizio scolastico comunale, il Comitato partecipò con una Mostra alla Esposizione Nazionale organizzata a Roma per il cinquantenario dell’ Unità,; il successo ottenuto consentì l’ulteriore diffusione dell’iniziativa educativa e la costruzione della prima scuola in muratura dell’Agro, presso il villaggio di Capanne di la Colle di Fuori, nel comune di Rocca Priora.
La scuola di Colle di Fuori
Con questo piccolo edificio, ideato da Alessandro Marcucci e realizzato con la collaborazione della popolazione locale, si stabilirono i principi estetico-educativi – sia riguardo alle linee architettoniche, alle decorazioni, agli arredi, alle suppellettili, sia ai contenuti pedagogici – che caratterizzarono in seguito tutte le scuole istituite dal Comitato nell’Agro Romano e pontino, e in altre regioni. Duilio Cambellotti abbellì il nuovo fabbricato decorandone l’esterno e le aule: “… Nella casetta bianca – scriveva una rivista scolastica – recinta di rose e trionfante nel suo campaniletto, ha trasfuso a piene mani tutto un poema originalissimo e puro di arte decorativa che si rivela agli occhi di chi guarda per le maioliche incastrate nelle pareti esterne della scuola, per le pitture interne, trilogie vigorose e sapienti nella loro semplicità, di tutta la vera anima della campagna romana…”. La celebrazione del cinquantenario dell’unità della Patria determinò il Comitato a mostrare accanto alle glorie storiche e artistiche di tutta Italia, quanto è una effettiva  promessa di novelle forze che la Scuola e la Bonifica igienica e agricola si ripromettono di rendere all’Italia con l’opera finora spiegata nell’Agro Romano. Far conoscere gli elementi caratteristici della vita dell’Agro, e questo attraverso una mostra etnografica; rievocare la severa e profonda bellezza dei suoi orizzonti, dei suoi piani, dei suoi animali, delle sue genti, con opere d’arte ispirate ai motivi della nostra Campagna; render nota l’azione della Scuola e della Bonifica e i consolanti risultati ottenuti nell’opera di redenzione civile ed agricola, con una mostra dei mezzi adoperati allo scopo dal Comitato delle Scuola e del Ministero di Agricoltura. Tale l’intento della Mostra, i cui risultati finanziari sarebbero stati devoluti a beneficio delle Scuole.
La Mostra si componeva di una grande capanna artistica, costruita da contadini nella quale si fondevano i motivi delle capanne caratteristiche dell’Agro Romano: quella rettangolare e quella rotonda. Le decorazioni interne ed esterne, furono realizzate da Duilio Cambellotti. In circa 135 metri quadrati furono esposti  quadri e sculture di Duilio Cambellotti, di Giacomo Balla, di Pierina Levi, di Annie Nathan, di Grete Cahn Speyer, di Gino Galli. La Mostra fu molto visitata e apprezzata e si chiuse alla fine del 1911, dopo una riuscitissima festa dell’albero, tenutavi il 24 dicembre 1911.


 

 

 

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