IL GATTO SIAMESE DI ALDO FABRIZI E I DIPINTI DI MARIO TITI

Un fil di lacca, colata e quasi tessuta sulla tela. Questa la strabiliante tecnica pittorica di Mario Titi, artista di cui si celebra sino all’8 maggio, a Frascati, il centenario dalla nascita. In esposizione presso Le Scuderie Aldobrandini una selezione delle 120 tele dedicate alla Divina Commedia. Noto per le sue opere realizzate con la personalissima tecnica della “colata” espose e viaggiò in tutta Europa, a New York la sua città del cuore, in Canada, Brasile, Argentina, Messico. E’ il pittore dei riflessi guizzanti e del colore smagliante, del dinamismo aereo e leggero, del tessuto brillante colato dal barattolo direttamente sulla tela posata a terra. Mario Titi torna oggi alla ribalta con questa mostra organizzata dal Centro Studi e Documentazioni Storiche Frascati, con il patrocinio del Comune di Frascati e dell’Istituto Regionale delle Ville Tuscolane (IRVIT) che si presta ad una lettura critica che va ben oltre il legame empatico ed emotivo che si deve ad un cittadino illustre. Una mostra che, a causa della pandemia, arriva tardi rispetto alle celebrazioni dantesche ma che certamente avrebbe meritato ben altra attenzione e riflessione. Le tele selezionate per testimoniare le tre cantiche dell’Alighieri, realizzate tutte alla meta degli anni Settanta del Novecento, restituiscono una modernità tecnica e coloristica di assoluto rilievo che travalica il periodo storico di realizzazione e che giungono a noi con un linguaggio contemporaneo nelle forme e nei colori. Le opere documentano una grande conoscenza artistica; il giovanissimo artista allievo di Tato negli anni Trenta con cui, epigono, partecipa al movimento internazionale futurista, aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti.
Le sue prime “colate” datano 1945 e la sua prima mostra arriva due anni dopo, nel 1947. E già questa sua tecnica dimostra la profonda innovatività e creatività di Titi. All’uso del pennello sostituisce il colore liquido, colato e lavorato sulla tela. Una tecnica che se pur coeva nulla ha a che vedere con il dripping di Jakson Pollok o le esperienze di Max Ernst. Le sue colate nascono in modo molto più semplice: “grazie alla vivacità di un gattino siamese - raccontò lui stesso al critico Vincenzo Farro - regalatomi da Aldo Fabrizi.” Era il 1938: il gatto fece rotolare dei barattoli e il colore caduto creò strane figure che colpirono la fantasia dell’artista che da quel momento dopo innumerevoli tentativi, affinata la tecnica, trovo il suo specifico linguaggio che esprime un’ energia invisibile eppure dinamica ed essenziale. Colate ma non solo: alcune sue opere hanno forti suggestioni con la Scuola Romana del dopoguerra e con i paesaggi di Mario Sironi, di cui era fraterno amico. Il suo era quello dei poeti che alla fine degli anni Cinquanta si ritrovavano a Frascati per il Premio Botte (oggi Seccareccia) l’ambiente di Sandro Paparatti, e Filippo Accrocca. Nel suo studio lindo e ordianatissimo, cosi appariva il primo atelier di Mario Titi in piazza del Gesù di fronte alla omonima chiesa, nascono centinaia di opere tra cui quelle a soggetto religioso, uno dei pochi artsiti ad affrontare la tematica e poi il grande successo della mostra Uomo sulla Luna che lo fece arrivare oltreoceano con grande plauso, e come narrano le cronache del tempo, anche nella collezione privata di Richard Nixon.

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