Navigando ho trovato questo delizioso raccontino di Gandolin del 1919 in cui si narra di una giornata e di un pranzetto frascatano...

Non si è mai abbastanza ignoranti.
Fra i cavalieri della corona d'Italia, Ignazio Cipicchia era il più infelice di tutti, a causa del suo matrimonio con Felicetta Cobianchi, per quanto lei, poveraccia, osservasse scrupolosamente i suoi doveri di donna, di cittadina, di sposa e di futura madre di famiglia.




Il cavaliere Ignazio Cipicchia, deponendo le sue sofferenze morali nel gilé d'un amico d'infanzia, gemeva con accento malinconico:

— Ho sposato un'oca, credi, una vera oca.... ma che dico? Le oche hanno un'intelligenza qualsiasi, hanno perfino un posto nella storia.... Felicetta, invece, non è nemmeno un'oca.... io non ho il diritto di classificare questa santa donna in nessuna specie del regno animale, nè tra i vertebrati, nè tra gl'invertebrati....

— Ma che fa, tutta la giornata, in casa? non fa niente? non sa far nulla?

— Al contrario: purtroppo, ella sa far tutto: dalle calze allo stufatino d'agnello, dai più ignobili   lavori all'uncinetto fino ai senapismi.... ma ella non sa dire quattro parole sopra un argomento qualsiasi, che non abbia relazione colle faccende domestiche. Tutto ciò che eleva lo spirito, per lei non esiste affatto. Vuoi escire? (le ho detto ieri) andremo alla Società orchestrale. Sai che mi ha risposto? (contraffacendo la voce): “Grazie! preferisco restare a casa a far la pulizia delle camere”. Si direbbe, quasi, che lo scopo della sua esistenza, invece di uno scopo, non sia che una scopa....
— Ma, caro mio, dopo tutto, mi pare una buona moglie.

— Ecco, dove tu sbagli. Non è una moglie, quella è una serva, una serva eccellente, una serva inarrivabile, ma infine una serva. Credevo di sposare una signorina e invece ho sposato una cuoca. Invece di una luna, m'è toccata, amico mio, una frittata di miele. Io avrei voluto dare a Felicetta tutto il mio tesoro d'affetti; volevo aprirle il mio cuore, e invece lei non sa aprire che la credenza. In casa mia c'è una lindura, un ordine, atroci, detestabili. I pranzi sono regolati con una spaventosa regolarità. Alle otto di sera Felicetta sbadiglia: alle nove ha sonno: alle nove e un quarto dorme e russa. Ah, non ne posso più!  
 
 

— Perchè non la porti a teatro?

— Ci ho pensato: ma s'addormenta lo stesso, alla metà del prim'atto. Non la posso neanche portare in società, perchè mi ci faccio rosso per lei. Figurati: non sa dire altro che come sta?... grazie, altrettanto.... Vedi? a certi momenti, preferirei quasi che non fosse tanto virtuosa, ma un po' meno bestia, perdinci!
Questo intimo sfogo del cavaliere Ignazio Cipicchia, basta a spiegare, se non a giustificare, l'entusiasmo con cui, una sera, in casa Menichelli, fece conoscenza con la signora Eleonora Barbetti, vedova del sempre compianto professore Lorenzo Barbetti, che in suo vivente stampò dottissimi opuscoli, non conosciuti, come al solito, che in Germania.

Dieci anni di convivenza matrimoniale erano stati sufficienti perchè la signora Eleonora si conformasse a quella misteriosa e comune legge psico-fisiologica, secondo la quale i coniugi finiscono a rassomigliarsi, così nel morale come nel fisico. La signora Eleonora, a trentaquattr'anni, riassumeva in sè la duplice personalità del professore Barbetti e di sua moglie: ella era come un'incarnazione buddistica del connubio Barbetti, col naso di Lorenzo, e la voce argentina di Eleonora, coi bei denti bianchi d'Eleonora e le citazioni classiche del professore defunto.
Appena avvenuta la presentazione nelle forme consuete, donna Eleonora soggiunse:
— Cipicchia!... lo scultore?
— Nossignora: lo scultore è mio cugino.
— Allora: avvocato?
— Neppure: io non fo niente.
— Niente? male. Schiller, il grande Schiller, dice: L'ozio non è che il disprezzo della vita.
Il cavalier Cipicchia rimase dolcemente atterrito, davanti a questo miracolo di donna, che gli esplodeva freddamente una massima di Schiller come se niente fosse, e pensò:
— Dio! che felicità passare la propria esistenza al fianco d'una signora, una vera signora, che ha il grande Schiller sulla punta delle dita! Felicetta al posto suo m'avrebbe detto: non fai niente? e perchè non mi gratti un po' di formaggio?
Istintivamente il cavalier Cipicchia sentì nel cuore un misto d'ammirazione e d'affetto per la vedova Barbetti, provò un senso acuto di rispetto e di desiderio per quella donna così colta, e fece di tutto, anche delle vigliaccherie, per discorrere tutta intera la serata con lei....
Ah, era proprio una donna che comandava l'ammirazione.
A ogni momento, citava Seneca, Pascal, Leibnizio, Larochefoucauld, Hegel, Rousseau, Schopenhauer....
Sì, o signori: persino Schopenhauer.
Tornando a casa, il cavalier Cipicchia, nello slacciarsi la cravatta, guardò la paffuta Felicetta, che russava a bocca aperta, e mormorò con accento di profonda commiserazione:
— Donna virtuosa ma inconsapevole, hai tu il più lontano sospetto che l'umanità abbia avuto un filosofo che si chiama Schopenhauer?... oh, anima confinata tra le matassine e la pignatta, tante cose non seppe Pico della Mirandola, quante tu ne ignori e ne ignorerai!
Poi, si coricò anche lui, dormì e sognò che la signora Barbetti gli traduceva e gli spiegava, una per una, le settantamila pelli di bue dello Zendavesta.
Per quindici giorni di seguito, il cavaliere Cipicchia fece una corte onesta sì, ma ostinata, implacabile, alla vedova Barbetti, che sera per sera lo seppelliva sotto cumuli enormi d'erudizione enciclopedica. A poco a poco, le relazioni divennero alquanto più intime, sebbene sempre nei limiti della convenienza, e per un momento parve che l'austera e dotta epidermide di donna Eleonora vibrasse di oscillazioni simpatiche all'avvicinarsi del cavalier Cipicchia. Occhiate languide, sorrisi, e piccole strette di mano s'intercalavano, per così dire, nel testo delle disquisizioni scientifiche o filosofiche di donna Eleonora: poichè Ignazio non era padrone di metter bocca sopra una cosa, o un coso, o un caso qualunque, che lei non avesse pronto il suo commento dottorale, d'un'erudizione inesorabile.
Più che una donna, era una cattedra.
La cosa, anzi, prese tal piede, che il cavalier Cipicchia, nelle espansioni versate nel solito gilé dell'amicizia, in capo a due settimane ebbe a dire:
— È un portento, quella donna!... non ho mai sentito nulla che.... anzi, se proprio l'ho a dire, è persino troppo.
— Davvero?
— Ah sì, troppo!
Il grido partiva dal cuore, e Ignazio Cipicchia aveva ragione: per quanto varia, l'erudizione di donna Eleonora diventava assolutamente asfissiante.  In una bella giornata di maggio, la signora Eleonora vedova Barbetti, piena di mellifluità sentimentale, invitò il cavaliere Cipicchia a un pranzetto intimo e idiliaco, in una modesta palazzina ch'ella aveva in affitto a Frascati.



Il cavaliere rimase quasi spaventato da questa audace partita di piacere silvestre, ma in fin de' conti pensò:

— Le mie intenzioni sono pure: non si tratta che d'un amore intellettuale: io sono un uomo serio: lei è una signora seria.... troppo seria.... troppo!

Così che, malgrado i perfidi lenocinii dell'ottobre e della campagna, il cavalier Cipicchia si recò a Frascati con la coscienza tranquilla e anche un pochino lusingato dal pensiero che forse un idilio platonico, sotto le olmate laziali, avrebbe finalmente elevato quelle due anime un tantino nell'azzurro, al disopra delle massime filosofiche e dell'archeologia scientifica.  

Quel giorno, c'era un po' di Catullo, un po' di Orazio, nel cavalier Cipicchia.

Ma, tutto sommato, forse, un Orazio.... Fiacco.

Alle tre, giunse al villino Barbetti, con un caldo formidabile, sotto il sole scottante, che lo faceva andare in acqua dal sudore. Donna Eleonora, insieme con una sua cognatina, femmina magra, muta e insignificante, lo accolse con un sorriso quasi angelico e fece portare dei rinfreschi nel salotto, ch'era a pianterreno.


— Ah, qui si sta bene: — esclamò Ignazio, rifiatando e lasciandosi cadere sopra un sofà, — carino tanto, questo salotto! anche il pianoforte!

— Il pianoforte prima di tutto, poichè la musica è il più dolce nutrimento dello spirito. La religione deve più a Sant'Ambrogio per i canti sacri, che a San Paolo per le sue lettere. Il quartetto del monaco Ubaldo, nel decimo secolo, è un'armonia di paradiso....

Ignazio si sentì piccino piccino, davanti a una signora che osava rimontare al decimo secolo, e s'arrischiò a balbettare:

— Ah, è vero: la musica sacra: ho inteso, in San Pietro, la famosa messa di Palestrina....  

— È bella sì, ma omai un po' volgaruccia. Ha sentito mai la messa che Guglielmo di Machault ha composto per la consacrazione di Carlo V?

— Io no.

— E io neppure: ma me la figuro. Mi parli dei canoni di Giovanni Tinctor, di Giacomo Hobrecht; mi parli dei mottetti del Deprés, stampati a Venezia 1502, coi tipi d'Ottavio Petrucci: mi parli....

Il cavalier Cipicchia non parlò dei mottetti, ma tentò abilmente sviare tanta onda musicale, guardando l'orologio a pendolo e dicendo:

— Perbacco! son già le tre e mezzo, non credevo: ma andrà bene quell'orologio lì?

— Si figuri! è nientemeno che un orologio di Wagner, del celebre Wagner, che non s'occupava che di grossa orologeria, ma poteva ben competere coi Lepaute, coi Bréguet, coi Romilly, coi Rivaz, coi Deturtre, eccetera, eccetera. Già, ho sempre avuto una passione per i buoni orologi, non m'è riuscito di trovarne uno lavorato da Galilei, ma mio nonno mi ha lasciato un orologio, fatto, nientemeno, da Huyghens.

— Huyghens! nientemeno.... — mormorò Ignazio, che sentiva questo nome per la prima volta.

— Già: l'inventore della molla a spirale. Ne parla l'Hugenil nell'Horologium oscillatorium, e anche il Thiout, nel suo Trattato d'orologeria....

— Ah, sì: è verissimo.  

Ignazio altro non disse per paura di compromettersi, e donna Eleonora visto che la conversazione languiva, soggiunse:

— Qualche minuto ancora e andremo a tavola. Si sa: in campagna si pranza di buon'ora. Vuole, intanto, fare un giretto in giardino?

— Ma si figuri! con tutto il piacere.

E dato il braccio a donna Eleonora, il cavalier Cipicchia si trovò, da lei guidato, in un rettangolo di terreno, ornato di poche piante intisichite che facevano rabbia, ma per compenso dovette sorbire tutta una dissertazione sui giardini degli antichi greci e degli antichi romani, con l'inevitabile citazione dei giardini odoriferi d'Aristofane, e della lettera nella quale Plinio il giovane descrive la sua villa sulle pendici toscane. Tutto un corso completo di ars topiaria, con terribili divagazioni botaniche sulla famiglia delle piante dicotiledoni e monopetali, e una menzione speciale del ligustrum japonicum e della syringa vulgaris (fior di lilla) che fu introdotta in Europa verso la metà del settecento.
Ah, quella donna era pratica di tutto, anche della syringa vulgaris!



Come Dio volle, si diede in tavola: e Ignazio ebbe un po' di respiro fino al fritto. Ma una sua frase imprudente schiuse nel cervello di donna Eleonora il rubinetto dell'erudizione gastronomica, e non uno dei più valorosi mangioni, da Apicio a Brillat-Savarin, da Lucullo a Gioacchino Rossini, fu risparmiato allo sbalordito cavalier Cipicchia. Mancomale, verso le cinque venne il caffè.
— Delizioso! — egli disse, — mi ricorda il caffè veramente orientale che si beve al Florian di Venezia....
— Oh, può essere ben sicuro che le servo il frutto genuino della coffea arabica: per questo lato, sento d'essere orientale anch'io e professo una specie di culto per Soliman-Agà, che lo mise alla moda in Parigi nel 1669. Del resto, oltre a una buona bevanda, io sono convinta che il caffè è una vera medicina. Esso contiene dell'olio volatile, dell'acido gallico, del tannino.... No: io non posso adattarmi all'opinione di Hahnemann, che pretendeva scorgere a dirittura un veleno nel caffè! e lei?

— Anch'io sono d'un parere contrario a quello di Hahnemann! — soggiunse Ignazio; e si fermò, quasi per paura di essersi arrischiato fin troppo.
Bevuto il caffè e dopo un lungo ragionamento sull'uso dei liquori presso i diversi popoli d'Europa, donna Eleonora propose di giocare a tarocchi.
— È un gioco prediletto alle genti italiane, — continuò Eleonora rimescolando le carte, — e mi piace appunto per questo. Alcuni greci, esuli da Costantinopoli, presa poi da Maometto II, fecero conoscere le carte ai fiorentini e ai veneziani, e gli italiani introdussero il gioco in Francia nel 1370. Carlo VI faceva alluminare stupendi mazzi di tarocchi dal pittore Gringonneur....
La lezione fu lunga, poichè da Carlo VI si venne giù giù fino alla riforma tentata da David nel ciclo rivoluzionario, e intanto il cavalier Cipicchia, per dire la verità, sudava freddo. Quelle tre ore consecutive d'erudizione implacabile cominciavano a produrre una reazione completa nell'animo suo, e non fu senza un sospiro di sollievo che udì donna Eleonora a dire:
— Ah, ora facciamo l'ultimo giro, chè a momenti è l'ora del treno.
L'ultimo giro fu ancora funestato da qualche reminiscenza dei giochi fenicii e ateniesi; ma, finalmente il cavalier Cipicchia, gentilmente accompagnato dalla vedova Barbetti e dalla cognatina, si avviò alla stazione di Frascati e pregustò internamente la prossima ora della sua liberazione.
— Creda pure — diceva, col suo biglietto di prima classe nel nastrino del cappello — creda pure che in vita mia non ho mai passato una giornata più incantevole di questa.... Ah! ecco la campana, che annuncia la partenza del convoglio. Dunque, tante cose.... e grazie.... grazie!
— Vogliamo accompagnarla fino al vagone.

— Oh, non permetterò....
Ma non ci fu verso, e prima che Ignazio potesse salire in un ammezzato di prima classe, donna Eleonora esclamò:

— Pensare che la forza del vapore fu scoperta dal meccanico Antemio, nel sesto secolo (ne parla lo storico bisantino Agatias) e che non s'ebbe l'idea d'una locomotiva che sul finire del secolo nostro!...
E mentre il convoglio si metteva in moto, il cavalier Cipicchia udì ancora confusamente questi nomi lanciati nell'aria:
— Papin.... Watt.... Robinson.... Stephenson....

Giunto a casa sua, Ignazio trovò Felicetta in cucina, e profondamente commosso, l'abbracciò due o tre volte.
 

Ti sei divertito? — le chiese lei, con la sua consueta espressione di stupido candore.

— Non tanto, e tu che hai fatto?  

— Una quantità di cose. Vieni a vedere quante cipolle ho comprato, quasi per niente.

Il marito, trascinato da lei davanti a un centinaio di cipolle, si sentì venire le lagrime agli occhi: e, intenerito, la baciò sulla bocca dicendo:

— Tu almeno non mi dirai: la cipolla, presso gli antichi Egizii....
 

 
 




   

 

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