TRICOLORE: ANGELICA,BEATRICE,BARBARA E GELTRUDE IMPUTATE E CONDANNATE - per non dimenticare le donne che hanno fatto l'Italia


Il 7 gennaio a Reggio Emilia si festeggia il Tricolore, quello dell'Unità d'Italia del 1861. Solitamente si crede che sia una storia da uomini, ma così non è. Ancora pochi ricordano che gli uomini le fecero sventolare ma le donne le cucirono e per questo finirono ai piombi, cioè nelle galere. La storia delle donne del tricolore inizia la mattina del 25 agosto 1795 a Bologna. In un aula di tribunale si allestiva la sala dei “tormenti”. Si preparava una lunga tavola con tappeto nero, dietro, le poltrone per i membri della Congregazione Criminale del Tribunale del Torrone. Quella del Cardinale Presidente dominava le altre ed era coperta di velluto rosso e oro con lo stemma Pontificio. In mezzo alla tavola la clessidra, un Cristo di metallo, sei candelieri. Si celebrava il processo Zamboni- De Rolandis per la sommossa bolognese del 13 e 14 novembre dell’anno precedente. Il moto non ebbe esito positivo e i due giovanissimi studenti universitari furono scoperti, catturati e rinchiusi nelle carceri del Torrone, insieme ad altre diciannove persone. Luigi Zamboni fu trovato morto il 18 agosto del 1795 all'interno di una cella soprannominata Inferno. De Rolandis fu impiccato il 23 aprile 1796 dopo crudeli torture. Fu un vero e proprio maxiprocesso in cui tra imputati e testimoni sfilarono davanti ai magistrati 290 persone tra cui molte donne. Tra loro Angelica Lorenzini, Beatrice Zamboni, Barbara Borghi e Geltrude Mazzeri, imputate per aver cucito coccarde tricolore. In tribunale si discuteva della sommossa nata sull’onda della rivoluzione francese a cui aveva preso parte Luigi Zamboni come port drapeau. Tornato nella sua Bologna si mise all’opera per esportare quegli ideali nella sua terra natia. L’inquisitore dopo aver ascoltato gli imputati principali:
 “ oppresso dalla smania di scoprir cose arcane, pensò rivolgere le sue armi contro le donne ch' ei sospettava aver lavorato nella confezione delle insegne. L'Angelica Lorenzini Montignani amante di De Rolandis e la Barbara Borghi mantennero, malgrado i tormenti, il preconcetto sistema di assoluta negativa. Ma la Geltrude Mazzari vedova Pironi esaminata ad istanza del Bargello, confessò « aver avuto dalla Zamboni del cavadina verde, e della roba bianca e rossa per far roselline della grandezza circa due volte un baloccone di rame » Soddisfatto il Pistrucci da tale deposizione, immantinente chiamò a sé la Brigida Zamboni, e dopo averla severamente ammonita e minacciata, sullo stesso argomento la interrogò; ed ella credendo pur di qualche guisa appagare le inquisitoriali ricerche ingenuamente disse: essere nelle rosette « col bianco mischiato il rosso e il verde per uniformarsi al dipinto della camera di Casa Savioli per la quale eran fatte » Ah! non avess' Ella pronunciato giammai il nome di questa Senatoriale Famiglia! La cieca e feroce ira del processante, la incalzò e strinse con tale una furia di domande, per cui, la calma e ripetuta risposta di non voler dire ciò non poteva, fece traboccare la bile del Pistrucci in uno sfogo di crudeltà, consegnando la povera donna a' suoi manigoldi — i quali dopo averla inutilmente straziata, ebbero a trasportarla fuor dei sensi, nel suo carcere. Lungo e doloroso troppo sarebbe il riferire le azioni crudeli e le inumane barbarie usate dal Fisco in questo processo.(…)[1]

Il 18 agosto la città era deserta, popolata soltanto di sbirri. Zamboni era morto. Assassinato, dicevano le voci di città. In tribunale il processo andava avanti, si attendeva la sentenza.
Fuori del tribunale si allestiva la forca.

“Gli Uditori e sott'Uditori del Torrone, i Notai, gli Scrivani si erano adagiati sui loro seggioloni e sugli scanni, intanto che gli uscieri avean riempita la tavola di carte, di oggetti riguardanti il processo, di armi, coccarde, proclami ecc., quando una voce annunzia: — Sua Eminenza Reverendissima il signor Cardinale Presidente.Si alzano in piedi tutti e s'inchinano profondamente. — Preceduto da quattro svizzeri con alabarde e da torce a vento, entra con passo spedito e grave il Cardinale, in piena porpora e colla croce d'oro sul petto, il quale dopo aver coll'indice ed il medio in alto trinciato a destra ed a sinistra le così dette benedizioni, e postosi tre minuti in ginocchio in atto di recitare orazioni innanzi al Cristo, — va a sedersi nel mezzo, sussurrando a bassa voce al Pistrucci — « Sbrighiamoci, che il caldo mi da noia. » Ultimi rimanevano il vecchio Giuseppe Zamboni e le donne!Dopo brevi istanti di tormenti l'infelice padre era fuor di sé, abbattuto, contraffatto, moribondo, e su d'una lettiga veniva altrove condotto. Alla Brigida Zamboni non fu possibile ad alcuno avvicinarsi per avvinghiarla; — della propria libertà approfittando, scagliava calci, e pugni, e morsi come una fiera; — gli occhi e le parti più sensibili de' manigoldi percuoteva; finchè assalita da orribili convulzioni cadde, e si rese necessario lo sforzo di parecchi uomini per afferrarla e ritornarla alla prigione dacchè sembrava la di lei vita animata da forza soprannaturale e divina(1)! Così terminò questa seduta che ultima chiuse gli spaventevoli orrori di un' epoca in cui uomini in nome di Dio e della Giustizia commettevan i più atroci misfatti che abbian disonorata l'umanità. Da cotesti ribaldi e da cotestie! ribalderie giudicate dalla civiltà, torceremmo altrove lo sguardo, se non fossimo tratti a considerare la storica verità che ad usare, sostenere e difendere qualunque vergogna, iniquità, e nefanda opera sociale, s'incontra ognora l'Autorità del sacerdozio di Roma, la quale come paganamente nel medio evo combatteva per la schiavitù (2), così nei moderni tempi combatte contro ogni santo principio. — Per vincere l'ostilità guerra non basta la fede nella ragione e nella virtù, ma è necessario soggiogarla come sempre e risolutamente — colla forza. ll processo volge al suo termine.[2]

Si chiude così il XVIII secolo e le speranze vengono riposte in Napoleone, ma presto arrivò la disillusione e la nuova ripesa della cospirazione. Finita l'epoca napoleonica il Tricolore scomparve dalla scena ufficiale militare e politica d'Europa, mentre, con il Congresso di Vienna e la firma della Santa Alleanza, vi fu il ritorno dei vecchi sovrani assolutisti in Europa e in Italia. Ma, mentre nessuno degli otto Stati in cui fu divisa la penisola mantenne il Tricolore, la restaurazione non lo ammainò nei cuori dei patrioti. Così per circa trent'anni e sino al 1848 il tricolore divenne il simbolo di tutti coloro che si batterono per l'unità, l'indipendenza e la libertà d'Italia. Così nei moti del 1817 a Macerata, in quelli del 1820 a Nola, a Napoli, a Messina e a Palermo, durante i processi lombardi contro Maroncelli, Pellico e Confalonieri, e nella rivolta in Piemonte nel 1821, così nelle insurrezioni e condanne a Modena e nel Cilento; così nei moti del 1831 in Romagna, nelle Marche e un po’ dovunque nella Penisola. E il giuramento della Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, che nel 1833 aveva ben 60.000 iscritti, veniva pronunciato davanti al Tricolore, issato in tutti i tentativi insurrezionali degli anni trenta.

Il tricolore viene di nuovo sventolato durante i moti liberali del febbraio 1831 che, scoppiati a Modena per iniziativa di Ciro Menotti, si estendono a Parma e a Bologna. A Reggio torna per questo anche Giuditta Bellerio Sidoli, vedova del patriota reggiano Giovanni Sidoli. Fu lei a consegnare alla neo costituita "Guardia Civica" la bandiera tricolore poi esposta sul palazzo del municipio e oggi conservata nel museo del Tricolore. Dopo il fallimento dell'insurrezione, per sfuggire alla repressione austriaca, Giuditta prese nuovamente la via dell'esilio: prima a Lugano e poi a Marsiglia. Nella sua casa, in rue de Féréol, ospitò molti esuli italiani e, tra questi, Giuseppe Mazzini, del quale divenne amante e collaboratrice politica, con lui un anno dopo i moti fondò il giornale politico La Giovine Italia, assumendone il ruolo di responsabile e contabile. Nel 1831, dunque, Giuditta, dopo il fallimento dell'insurrezione, riusci a scampare la prigionia grazie alle inclinazioni duchiste della famiglia. Fu invitata a lasciare la città. Restò, invece a Modena la contessa Rosa Testi Rangoni. Il 13 giugno di quell’anno il Tribunale Statario la condannò alla reclusione per anni tre in fortezza perché "colpevole di aver cucito su commissione del capo ribelle Ciro Menotti una bandiera di seta, di colore bianca-rosso-verde, sapendo che la medesima doveva servire alla rivolta". La pena fu poi commutata dal duca Francesco IV nella reclusione per altrettanto tempo nel convento delle Mantellate di Reggio. Enrichetta Castiglioni invece mori nelle prigioni veneziane, vittima dell’Austria e del duca Francesco IV. I decenni passano e le donne chiamate a raccolta soprattutto da Mazzini cominciano ad organizzarsi in associazioni e società segrete. Molte di loro, per lo più appartenenti a quella borghesia cittadina che rappresentava il cuore della mobilitazione, avevano fatto anche di più, impegnandosi in prima persona nell' attività cospirativa, come «giardiniere» nella Carboneria o nella Giovane Italia: raccolte di fondi, sottoscrizioni, proclami, scritti, messaggi patriottici circolavano più facilmente nelle loro mani e sotto le loro gonne. Molte erano state costrette all' esilio; altre erano state denunciate e processate. Arriva poi in tutta Europa il 1848. In Italia si susseguono le insurrezioni. Le donne svolgono un ruolo di primo piano: da Palermo a Venezia, da Milano a Brescia, l' insurrezione le aveva viste mobilitate in prima linea con gli uomini, a costruire barricate, a confezionare cartucce, a fare da vivandiere, a organizzare infermerie e ospedali.




[1] Augusto Aglebert, Primi martiri della libertà e l’origine della bandiera tricolore Congiura emorte di Luigi Zamboni e G.B. De Rolandis in Bologna tratta da documenti autentici, Giuseppe Mattinuzzi editore, Bolgna 1880.
 
[2] idem
 

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