LA VISIONE LUMINOSA DI GUGLIELMO CORAZZA, IN MOSTRA ALLE SCUDERIE ALDOBRANDINI DAL 13 GIUGNO
Studio, elaborazione, qualche volta anche
emulazione, ma comunque e sempre, a guidare Corazza la sua sensibilità che pian
piano ha preso forma trovando una sua strada, una sua particolare cifra
artistica. E oggi dalle sue iniziali doti di pittore “impressionista” , puntinista
alla maniera di Manet e Pissarro, resta solo un’ eco lontana, la qualità del
colore e della materia si fa visione luminosa. Non lo rassicura più, come nelle
tele di un decennio fa, dichiarare la sua fonte artistica. Non lo interessa più
dichiarare il paesaggio che vuole raffigurare. Non serve più la traccia della
pennellata con cui andava costruendo ora uno scorcio di vicolo, ora un portone.
Non gli servono più le griglie, i parametri e i riferimento noti, non servono
più a lui e, non servono più neppure a chi indugia difronte alle sue tele.
Oggi
la sua spatola, ricca d’impasto corre e vibra sulla tela, d’impeto o d’ardore,
il gesto trova la sua luce e con essa la sua forma. E a noi fruitori concede
l’emozione di vibrare il guizzo di colore insieme a lui, manifestando con
chiarezza le sue capacità tecniche dell’uso dei materiali, dei supporti e dei
pennelli (spatole).Per chi vuol comunque rintracciare i maestri che l’hanno
ispirato, Corazza suggerisce, bisbigliando sommessamente qualche citazione
compositiva o coloristica, qui c’è Cezanne, la c’è Munch, Van Gogh oppure i Fauves.
Ma è un esercizio di pura accademia perché ormai è la luce che scaturisce dagli
oggetti, la luce interiore di paesaggi, edifici o astrazioni che entra in
risonanza con ciascuno, alla scoperta di un nuovo spazio fisico, facendoci scoprire come particella in una
nuova dimensione orbitale. Emerge dal buio,
cangiante, il colore. Più tenebroso è l’ambiente più le sue tele si animano. Non
sono i nuovi ritrovati della chimica ad animare la notte, per lui solo e silice e sabbia, come sempre a dare vita
all’oscurità. E non sono più i colori a coinvolgerci a venirci incontro è una
luminosità che ci fa scorgere, in lontananza, la forma della sua e della nostra
emozione. Così i vicoli di san Rocco, o il Notturno a Villa Torlonia. E i tanti
sempre più sconosciuti scorci tuscolani.
Nei suoi paesaggi che siano torrenti
che si snodano tra radure boscose come il dipinto “Riflessi”, o le “albe”,
nulla più ci vincola al reale paesaggio.
Nulla ci lega più all’arcadia sognata da una pittura antica, tutto si gioca solo nella percezione luminosa ed interiore. Nulla più ci vincola ad una forma o ad una verosimiglianza, tutto si gioca su campiture di colore, ora tenui e sommesse, ora squillanti e dirompenti, come ”Tramonto”.
Smarrirsi dentro un
paesaggio si può! Far smarrire le propria realtà allo spettatore, condizione
propria e fondamentale dell’arte, suggerire un nuovo altrove è il vero
raggiungimento del Corazza, artista maturo. Scompagina la realtà per seguire
una nuova astrazione, sembra suggerire Guglielmo Corazza al suo interlocutore.
Proposta latente nei paesaggi, proposta forte nei suoi rari, ma quanto mai
importanti e fondanti, quadri astratti. Energia pura che tra il grigio, l’oro
l’argento e l’onnipresente silice esplodono verso la scoperta del senso della
meraviglia, di quel insondabile istante in cui tutto pare sospeso, e poi,
d’improvviso arriva la luce, l’illuminazione: l’avvicinarsi ad un ignoto che
tramite quell’immagine fluttuante di colori prende una forma, inconscia e
insondabile in cui si riconosce l’essenza della vita, che sia l’energia del big
bang o quella della fede.
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