La terracotta di Claudia Giannuli dal 13 dicembre alle Scuderie Aldobrandini di Frascati


La semplicità apparente delle donne, un po’ manga un po’ fumetto tridimensionale, è la protagonista delle opere scultoree di Claudia Gianulli. Le sue figurine fittili, di terracotta, ad un primo sguardo, sembrano personaggi usciti dalle pagine dalla saga nipponica di Naruto Tenten, di lontano si sente l’ eco del più classico fumetto belga, Tintin. Donne che arrivano dritte al cuore e vanno oltre: giù, giù infondo al vissuto di tante. Il mondo di Claudia Giannuli mi ha catturata: curiosavo semplicemente tra le opere che prossimamente saranno in mostra per la Biennale della Ceramica alle Scuderie Aldobrandini di Frascati, e, ad un tratto è accaduto, una incredibile fascinazione m’ha rapita, portandomi in un mondo che lascia poco spazio al pur evidente godimento estetico, per approdare in mondi attuali e pur ancestrali. Sculture di piccole dimensioni che arrivano ad una estrema sintesi formale e di linguaggio. A Frascati Claudia Gianuli sarà presente con  Drag & drops, opera del 2013.Un piccolo esercito di “ragazzine” ignude, glabre nella loro politezza materica, tutte in fila su un asse sporgente, la capofila muove un passo nel vuoto, nell’ignoto o nell’abisso, le altre sembrano seguirla. Tutte invece invadono lo spazio di chi le guarda, marciano, sospese su un’ asse, forse d’equilibrio, con le loro “zazzere” brune verso la realtà del mondo che le circonda. Qualcuna cammina “al buio”, con gli occhi coperti dalla massa nera dei capelli, altre hanno lo sguardo basso, solo una ha il viso quasi scoperto. Una dietro l’altra, apparentemente uguali, ma una diversa dall’altra. Chi è quest’artista, mi chiedo? Allora, curiosa navigo nel web e trovo altre sue opere, le guardo una ad una, ed ognuna mi sorprende: una semplicità che arriva dritto ai vissuti di tutti noi, linguaggio contemporaneo che con un’efficace potenza di narrazione racconta dei vissuti, di bambine. Noia, fughe, costrizioni, sesso, sottile violenza, questo raccontano queste figure. Bamboline che avanzano nel nostro spazio oppure sottovuoto, chiuse dentro una teca di vetro, come la serie Tana libera tutti,  del 2012.


Con una scopa tra le mani, un secchio in testa o ancora pronte a scagliare una sedia contro il muro invisibile che ci lega ad una circostanza, mute. Oppure calate in una stanza, che ricorda quella delle bambole, di quando bambine, volevano insegnarci anche così le arti domestiche: donne intente a lavorare su un tavolo da cucina a spennare un pollo, o preparare un pranzo, donne alle prese con la quotidianità, con bambini frignanti che si aggrappano alle vesti di una futura neomamma. Donne sotto una campana di vetro, come quelle dei salotti buoni delle bisnonne, spesso estraniate dal mondo circostante, eppur vive.


E la storia si ripete oggi come allora, un frammento di quotidianità e che sussurrano l’astrazione con cui spesso ci si accinge ai gesti più consueti di una vita, una esistenza sottovuoto, sotto vetro. Il ricorso a queste figure grafiche, da fumetto che si fa tridimensionale, ci svelano una conoscenza profonda di questo linguaggio, e non potrebbe essere altrimenti vista la sua giovane età, la Giannuli è nata a Taranto nel 1979. Grafica che si fa scultura ma che affonda nei vissuti di donne che cambiano pelle, abito, ambiente, manifestando mesti e dimessi sentimenti, che a volte si fanno disperanti.  Che fanno percepire una nudità che va oltre il corpo, un vuoto profondo e senza sguardo con occhi coperti dalla capigliatura o profondamente vuoti di materia. Le sue figure, non inquietano con i loro gesti normali e un po banali, eppure raccontano un sottile sgomento: ambienti e microcosmi quotidiani densi di contraddizioni, e la terracotta resta lì a narrare queste grandi e piccole storie quotidiane.

Con gentilezza e grazia trasognata emergono i piccoli drammi quotidiani. Piccole opere che bandiscono la benché minima imperfezione della terracotta per raccontare, come hanno scritto di lei, “momenti di vita in cui perdiamo quel fantomatico controllo che ogni giorno fatichiamo a gestire nelle nostre giornate di precarie, adolescenti, mamme, amanti, figlie.” che fanno ricordare i piccoli omicidi quotidiani, che ancor oggi si esercitano sulla volontà e la libertà delle donne. Donne dimesse ma non solo, anche efferate assassine. Le nuove esplorazioni culturali intraprese da Claudia Giannuli sono i veleni: belladonna, oppio, arsenico vengono rappresentati con oggetti, e fiori posati su una sedia. Ad ognuno di essi è associata la storia di una donna omicida: così la belladonna racconta la stoia di Erzsébeth Bàthory soprannominata, la belva di Csejthe (1560-1614), Grande esperta di veleni e magia nera, uccise numerose donne (650) utilizzando la belladonna, pianta velenosissima legata alla stregoneria poiché credeva che il bagno fatto nel sangue delle vergini mantenesse viva la sua bellezza.  L’arsenico è associato a Nannie Hazle detta la nonnina ridacchiante (1905-1965)Dodici vittime, tutte in famiglia ( quattro mariti, una suocera, due figli, la madre e due nipoti). Tra le più conosciute vedove nere uccideva le vittime avvelenando il cibo con l'arsenico. Quello che più inquieta è l’oppio che non solo ha mietuto vittime illustri nei secoli passati ma che conosciuto in Italia meridionale anche con il nome di papagna, fu utilizzato fino a pochi decenni fa anche dalle mamme come veloce rimedio per l’insonnia infantile. Il rischio di overdose era altissimo e l'infanticidio spesso era “un incidente”.
 

 
 

 

 
 
 

 



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