Dicembre in Acquerello: mostre a Genazzano e all'Archivio Centrale dello Stato
Il Castello Colonna di Gennazano e poi l’archivio Centrale dello Stato ospiternno rispettivamente il 6 e il 13 dicembre prossimi due mostre dedicate all’Aquerello organizzate dall’ARA - Associazione Romana Acquerellisti che nata meno di un anno fa da 15 artisti oggi ne conta più di 40.
Il progetto nasce
per diffondere e promuovere la pittura ad acquerello ad ogni livello sul
territorio nazionale e internazionale, tramite iniziative, progetti ed eventi
volti a tutelare la tecnica dell’acquerello. Sulla scia del grande contributo
dato nel secolo scorso da Enrico Coleman e da Ettore Roesler Franz all'arte
figurativa e alla diffusione dell’immagine di Roma, l’ARA si propone di
restituire a questa tecnica pittorica il prestigio e il ruolo centrale già
avuti con le importanti e numerose scuole operanti nei secoli scorsi nella
Capitale. Tra i vari artisti anche Michelle Smith, anglo-australina, tuscolana nel cuore, appassionata
e raffinata sostenitrice delle bellezze dei Castelli Romani.
Un artista che coglie le più seducenti atmosfere, le più contrastanti le luci dell’area del Tuscolano: dai boschi ai laghi, indugiando sulle architetture luminose delle ville rinascimentali e barocche. L’ acquerello è una pratica piuttosto recente rispetto alle tecniche pittoriche consuete ,ma è una delle più difficili. I colori diluiti con acqua e distesi in velature fluidissime, anche ripetute si giova del bianco stesso della carta. Prima del'700 tinte acquose furono usate soltanto per ombreggiare schizzi e disegni, cosicché il Baldinucci, nel suo Vocabolario dell'arte del disegno, definì l'acquerello "una sorte di colore che serve per colorir disegni; e si fa mettendo due gocciole di inchiostro in tant'acqua, quanta starebbe in un guscio di noce, e più a proporzione; famosi anche altri acquerelli neri e coloriti, nel modo detto".
Un artista che coglie le più seducenti atmosfere, le più contrastanti le luci dell’area del Tuscolano: dai boschi ai laghi, indugiando sulle architetture luminose delle ville rinascimentali e barocche. L’ acquerello è una pratica piuttosto recente rispetto alle tecniche pittoriche consuete ,ma è una delle più difficili. I colori diluiti con acqua e distesi in velature fluidissime, anche ripetute si giova del bianco stesso della carta. Prima del'700 tinte acquose furono usate soltanto per ombreggiare schizzi e disegni, cosicché il Baldinucci, nel suo Vocabolario dell'arte del disegno, definì l'acquerello "una sorte di colore che serve per colorir disegni; e si fa mettendo due gocciole di inchiostro in tant'acqua, quanta starebbe in un guscio di noce, e più a proporzione; famosi anche altri acquerelli neri e coloriti, nel modo detto".
Questo acquerello fu dunque nella pratica degli antichi
maestri; tra gli altri lo usò specialmente Alberto Dürer per colorire i suoi
disegni a penna o per eseguire i suoi rapidi schizzi di viaggio. Toccava agli
Inglesi, intorno alla metà del'700, il primato di dare consistenza a questa
tecnica, già provata nel secolo precedente dagli Olandesi, trasformando l'acquerello
un modo ben definito e fortunato di pittura. L'iniziativa nacque nel campo dei
pittori di architetture e di vedute.
La tecnica fu adottata in breve tempo dagli artisti per riprodurre soprattutto vedute di città o di villaggi. Paesaggi pittoreschi e romantici castelli. L’impulso alla nuova pratica arrivò soprattutto da Thomas Girtin e da J. M. W. Turner. Quest’ultimo perfezionò la tecnica, sostituendo ai colori minerali quelli vegetali, e ottenendo così maggior leggerezza, fluidità e luminosità; ma mostrò quali fossero le possibilità dell'acquerello, il quale specialmente negli ultimi tempi divenne per lui unico mezzo di espressione pittorica, adoperato, quasi alla maniera dei frescanti, in toni decisi e crudi che si armonizzavano e fondevano a distanza.
La tecnica fu adottata in breve tempo dagli artisti per riprodurre soprattutto vedute di città o di villaggi. Paesaggi pittoreschi e romantici castelli. L’impulso alla nuova pratica arrivò soprattutto da Thomas Girtin e da J. M. W. Turner. Quest’ultimo perfezionò la tecnica, sostituendo ai colori minerali quelli vegetali, e ottenendo così maggior leggerezza, fluidità e luminosità; ma mostrò quali fossero le possibilità dell'acquerello, il quale specialmente negli ultimi tempi divenne per lui unico mezzo di espressione pittorica, adoperato, quasi alla maniera dei frescanti, in toni decisi e crudi che si armonizzavano e fondevano a distanza.
L'acquerello,
per quanto escluso dalle esposizioni della Accademia Reale, trovò gran numero
di adepti, pel gran favore del pubblico; tanto che nel 1804 poté esser fondata
la Water-colour Society. E la bella tradizione, ormai nazionale, fu mantenuta
fino alla metà dell'Ottocento dai vedutisti poi la tecnica venne impiegata
anche per scene di genere di cui furono campioni i Preraffaelliti, capeggiati
da Dante Gabriele Rossetti e da William Holman Hunt; John Ruskin l'usava,
invece, per le sue impressioni viaggio. In Italia, ove gli acquerellisti
inglesi avevano trovato un luogo eccellente per il loro lavoro, fu cominciato a
trattare solo verso la metà dell'Ottocento; prima, e quasi contemporaneamente,
a Napoli ed a Milano; più tardi a Roma. A Napoli può considerarsi iniziatore
Giacinto Gigante, il maggiore nella celebre "Scuola di Posillipo",
che trattò l'acquerello con fattura energica e franca, preferendogli però
abitualmente la mezza tempera: un acquerello su carta tinta, lumeggiata di
bianco nelle luci. E lui, ma più lo spagnolo Mariano Fortuny che fu a Napoli
nel 1874, imitarono in questa pratica Domenico Morelli, Francesco Paolo
Michetti. A Roma l'acquerello fu, se non importato, certo reso di moda da
Mariano Fortuny, giuntovi ventenne nel 1858, ed i cui acquarelli marocchini
dovevano nel'70 destare l'entusiasmo dei parigini e l'ammirazione di Théophile
Gautier per tale solidità e intensità di toni da gareggiare con la pittura ad
olio. La fattura portentosa, tutta luci e brillii, i soggetti piacevoli
(moschettieri e damine del Settecento) raccolsero attorno al Fortuny una
schiera di imitatori, italiani e stranieri, che i Romani battezzarono continari
quasi dipingessero solo conti e marchesi. Ma i migliori risalirono ai paesisti
inglesi all'acquarello, dei quali molti erano venuti a dipingere a Roma e nella
Campagna: da Enrico Coleman, figlio d'un inglese, e da Onorato Carlandi che
alternò la sua operosità tra la campagna romana e quella inglese, ad Umberto
Coromaldi e a Giulio Aristide Sartorio; mentre Giuseppe Ferrari usava
dell'acquerello in grandi ritratti di robusta fattura.
( nelle immagini Acquerelli di Michelle Smith e altri componenti ARA)
( nelle immagini Acquerelli di Michelle Smith e altri componenti ARA)
Commenti
Posta un commento