ELEONORA DUSE INTERPRETA CENERE DI GRAZIA DELEDDA, Il FILM ALLE SCUDERIE ALDOBRANDINI DI FRASCATI IL 23 DICEMBRE
Grazia Deledda |
“ Il libro è Cenere di Grazia
Deledda. E’ un bel libro su l’isola di Sardegna.” Scrive Eleonora Duse a sua
figlia Enrichetta il 4 maggio 1916. “L’ho letto una volta — mi ricordo —in
tournée — tu, Enrichetta — eri ancora bambina — e tante cose che mi turbavano
nel libro — noi le vivevamo. “ La trama del film drammatico, che verrà
presentato il 23 alle Scuderie Aldobrandini, è tratto dall’omonimo romanzo
della prima donna premio Nobel per la letteratura italiana, Grazia Deledda. Il
film muto, l’unico interpretato da Eleonora Duse, vede la Divina non solo nel
ruolo di attrice ma anche in quello di adattatrice cinematografica. Non solo,
per l’occasione diventa anche produttrice cinematografica entrando in società
con la casa Ambrosio di Torino. A partire dal 1912 fu colpita dalle immense
possibilità dell'"arte muta", convinta che l'obiettivo della macchina
da presa fosse "un vetro che vede le anime". Quindi cominciò a
interessarsi alla scrittura cinematografica, riducendo a trama filmica I legami
invisibili di S. Lagerlöf, un insieme di racconti che esprimono l'unione
misteriosa tra le anime umane e la natura. La sceneggiatura di questo film, non
poteva essere che sua.
Dalle lettere che
l’attrice scriveva immancabilmente alla figlia possiamo ricostruire non solo i
dettagli della produzione cinematografica ma le assonanze interiori tra la
storia narrata dalla Deledda e i vissuti intimi di Eleonora.
Eleonora Duse e la figlia Enrichetta |
“Il libro – prosegue
l’attrice nella lettera alla figlia- è
basato sulla necessità (non importa quale) d’una separazione fra madre e
figlio. La madre sola e povera si abbrutisce nella morte del cuore, senza amore
— ma il figlio — per volontà della madre — mandato via, a studiare, subisce
n’evoluzione pratica — poetica — si fa Uomo, un vero uomo — fatto di azione, di
sogno, e senza crudeltà sensuale, e capisce la pietà: qualcosa fra il Rolla di
De Musset e il Renè di Chateaubriand, e, ben compresa, qualcosa della sete
d’amore e di bene di Nietzsche. Allora, quando la Vita, il lavoro, lo sviluppo
morale della sua anima, e l’amore del suo cuore, agiscono fortemente su lui
(perché lui ama Margherita, una giovane ragazza) egli deve agire nella vita, ma
ha della donna un ideale talmente alto che vuole prima di tutto ritrovare sua
madre che lo ha abbandonato per il suo bene, dice lei, ma l’ha abbandonato — e
poi vuole stabilire fra la sua donna e la madre — una forma di vita di lavoro…
ma sia l’una forza che l’altra l’abbandonano. La fidanzata, per la vergogna di
condividere la vita con una mendicante come la madre del giovane, e la Madre
che da sola, si riconosce indegna di condividere la vita di suo figlio, e per
orgoglio della povertà. Vi è nelle ultime pagine del libro, un alto amore della
Vita — della Vita, da chiunque ci venga questo dono divino; e la madre,
qualunque essa sia, è la depositaria, cieca ma benedetta, della forza vitale…
Insomma, ci sono delle pagine di realtà e poesia che mi tormentano il cuore, e
l’immaginazione e che, io penso di poter fare comprendere senza parlare.”
Senza
parlare, il film è muto, ma le parole del dolore, come Eleonora sa bene,
restano spesso in gola.
Nel 1873 del resto, fu la Giulietta shakespeariana
interpretata all'Arena di Verona, a
farla notare ed emergere per un tipo di
recitazione febbrile e di forte impatto emotivo e visivo, lontana dai consueti
canoni recitativi dell'epoca. Il dolore si esprime così nelle languidezze,
negli stralunamenti e nei gesti di cui lei era maestra.
Eleonora Duse |
La malattia e i dolori
della vita che l’attanagliano ed evidentemente anche la trama la affaticano, la
decisione richiede tempo e così il 2 giugno scrive ancora ad Enrichetta:
“Non
ho buttato a mare l’idea fondamentale che è il Lavorare al più presto
possibile. Bisogna che la mia forza sia impiegata, non più a distruggere me
stessa, ma a ricostruire. Sono in trattative assai strette, e quasi concluse:
tutte buone, con tre case di film. Ma ancora non ho firmato, perché stavo male,
e perché fare un film, è un problema spirituale che non si può decidere su due
piedi. (…) Bene, calma, Eleonora! tu hai sempre lavorato, torni sulla tua
strada — se la salute ti impedisce il lavoro di un tempo — e se la tosse ti
impedisce di parlare, allora fa dei film — L’Arte del Silenzio — La febbre nel
cuore, dopo questa offerta di Griffith(1915 ndr), non ho sognato che dei
fìlms!… Erano almeno 5 anni che la Duse non lavorava e questa nuova avventura
certamente la sollecitava molto non solo dal punto di vista
dell’interpretazione artistica: “Io ho diritto (ah! mi piace questa parola)
sulle macchine e sull’operatore, che è la persona più difficile. Ma nel
contratto, ho voluto diritto di scelta, dunque: giudizio. Vado a scegliere!(…)”.
un fotogramma di Cenere |
A luglio cominciano le riprese e lei si stupisce della gran quantità di persone
che lavorano per la produzione e scrive alla figlia:
“Alle 9 e mezzo ero già
allo stabilimento Ambrosio dove si fanno le scene d’interno. È un posto davvero
interessante! quanta gente! Stamattina, c’è stata la presentazione di tutto il
personale; 204 persone sono impegnate per il mio film. Il film è passionale
(madre e figlio) ma ci vogliono 204 persone per farlo vivere! un mondo! Io
credo di sognare, la mia anima ritorna in me! Ah, che dire, e come dire, ciò
che io ho perduto della mia anima in questi cinque anni senza lavorare, in
prigione… La metà delle riprese non è utilizzabile, ma c’è qualche cosa — che
non è male — un certo pudore nei confronti del gesto cinematografico. Ce n’è
una che mi piace, in mezzo a un grande campo fiorito. E’ riuscito tanto bello,
io la testa abbassata come una spigolatrice, e l’argento dei capelli bianchi,
così luminosi come l’argento dei fiori. Sono talmente distaccata che solo il
personaggio Rosalia parla ai miei occhi. E’ proprio molto carina — Ambrosio in
estasi! Io ai sette cieli! La sarta dello stabilimento, mostrandomi la veste da
mendicante che avrò nel personaggio, ieri mi diceva, con le lacrime agli occhi:
Ah, quante volte ho visto la Signora risplendente, e invece ora! L’avrei
abbracciata per la bontà del cuore e il paragone d’arte! Mah! Sogno? — no —
lavoro, alle 4 parto per un villaggio di montagna, per fare il film in un
omnibus di campagna, quando la madre con il suo fagotto fra le braccia,
abbandona il villaggio per separarsi dal piccolo. Quanto piangerò, oh oh oh,
figlia mia!”.
E intanto si butta a capofitto nel lavoro anche se la malattia
pare non darle tregua e il Times racconta che la Duse è a Lugano, ma a
settembre riprende il lavoro.
Un fotogramma di Cenere
Passa le sue giornate sul set , la domenica si fa
pausa e lei scrive:
“Malinconia della domenica, figlia mia! Gli altri giorni si
lavora, si da un calcio all’anima e al corpo e si tira avanti, ma questa
tranquillità della domenica ora è riempita di lacrime. Quanti cuori nel mondo
guardano case, bambini, focolari distrutti — orrore! Dovrò rispondere ai
soldati, ho tanti soldatini che mi scrivono, ma, sono tanto stanca. Un
soldatino di fanteria, un mio cugino lontano, col nome Duse, mi ha scritto: Lei
non sarà la sola ad avere reso illustre questo nome, vedrà quello che farò io,
al fronte!!! E’ un soldato di fanteria, ma da due mesi non ricevo più lettere.
Sua moglie è qui, a Torino, ha dato alla luce un bimbo che ho battezzato Libero
— atrocità della guerra! E’ domenica, e poiché non lavoro oggi, farnetico…Il
mio film è bello — Triste! Per essere triste è triste, ma bello — una
acquaforte, qualcosa fra buio e luce. L’altro film sarà tutt’altra cosa. Grande
spazio, nessuna gioia, ma volontà — slancio — resistenza, volontà della Vita —
Chissà se riuscirà? chi sa, ma il cuore mi fa male oggi. Sempre la copia della
Vita, mai la realtà”.
Per Eleonora il cinematografo non è soltanto industria e
guadagno ma è qualche cosa di più. Il cinema, infatti, era inteso dall'attrice
come arte a sé, non teatro o racconto, ma 'musica' di immagini, vera
manifestazione artistica e, ad ogni modo, una manifestazione capace di
allietare e far riflettere il pubblico.
Il film del resto viene girato nel
pieno della Prima guerra mondiale e, anche lei come tante altri, cerca di tener
su il morale delle truppe con questo potente mezzo destinando i primi guadagni
al fondo della Croce Rossa. E il 16 ottobre ricorda alla figlia: “Più lontano,
in alto sui monti, la guerra, la guerra.(…) Il film è stato dato all’ospedale
dei soldati”.
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